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giovedì 9 luglio 2015

“Non dirmi che hai paura”: un sogno dietro il Viaggio



L’ultimo romanzo di Giuseppe Catozzella apre una nuova prospettiva sulla realtà dei migranti. Che dal nostro punto di vista intraprendono un viaggio infernale “soltanto” per sfuggire a fame, guerre e pericolo imminente di vita, e forse anche per inseguire un sogno che però si ridurrebbe, molto pragmaticamente, al benessere economico. Attraverso questo romanzo, e attraverso la storia vera e rivisitata di Samia Yusuf Omar, scopriamo invece che dietro a una delle mille diverse storie di chi fugge dall’Africa per approdare in Europa, si può celare semplicemente un sogno di realizzazione di sé.
Un sogno di vita, di carriera, di successo personale. Una normalissima e lecita ambizione, resa impossibile a priori dal fatto stesso di vivere in un paese afflitto da dittatura ed integralismo.
Samia è una ragazzina di Mogadiscio che ha un talento: corre veloce. E sogna di diventare un’atleta come il suo idolo, Mo Farah, che tiene alta la bandiera della Somalia nel mondo.
Con una determinazione inimmaginabile, senza coach ne’ diete bilanciate e correndo da sola, coperta dal burqa, di notte, nello stadio deserto e crivellato dai proiettili, per sfuggire alle ronde degli integralisti islamici che prendono sempre più potere in Somalia, Samia riesce nell’impossibile: si qualifica alle Olimpiadi di Pechino del 2008, diventando un idolo per molte donne somale che nel frattempo sperimentano progressivamente la perdita di qualsiasi diritto e libertà.
Presto capirà che ha un solo modo per non bruciare il suo talento e realizzare il suo unico progetto di vita e la sua passione: il Viaggio. Le Olimpiadi di Londra del 2012 sono il suo obiettivo, ciò che le dà il coraggio e la forza di affrontare cinque mesi di allucinante odissea attraverso Etiopia, Sudan, Libia e soprattutto l’inferno del Sahara. Per arrivare finalmente a Tripoli, e alla traversata del mare. La descrizione del Viaggio che ci restituisce Catozzella, è fatta di particolari crudi e dettagli inimmaginabili raccolti dai superstiti e tramite un lavoro di documentazione diretta (lo scrittore ha lungamente intervistato la sorella di Samia, Hodan, che oggi vive a Helsinki e che per prima ha affrontato la traversata). Gli esseri umani stipati all’inverosimile su camionette, che viaggiano per venti ore di fila nel deserto infuocato e non vengono più fatti risalire in caso di caduta accidentale, mentre il convoglio prosegue, la follia e le allucinazioni nel deserto, quando il mezzo di trasporto si rompe e l’acqua scarseggia. Le tratte interminabili di viaggio ammassati dentro container arroventati, dove escrementi, vomito, lacrime e preghiere di esseri umani umiliati e privati di dignità si confondono. E ancora, i garage- prigione dove si attendono anche per mesi i soldi inviati dai parenti per proseguire nella tappa successiva, perché ad ogni tappa i trafficanti di vite umane ricattano ed esigono nuove somme, pena bastonate, stupro, o minaccia di rimandare al punto di partenza i profughi. Poi l’arrivo a Tripoli, la solidarietà tra quaranta africane clandestine provenienti da diversi paesi che dividono un bilocale in periferia, scambiandosi ricette, ricordi e sogni per il futuro mentre aspettano di essere chiamate per la traversata. E soprattutto l’ansia di arrivare alla meta: nessuno si sofferma a pensare a quello che potrebbe succedere durante il viaggio in mare, sia perché chi ha attraversato il deserto si sente invincibile, sia perché la paura è un lusso concesso a chi è felice, e ha paura di perdere quello che ha.
Catozzella reinventa un finale più lieve e vittorioso per Samia, per risarcire in qualche modo il sogno rubato della Samia reale, e dà una voce e una speranza a migliaia di vite coraggiose.