Post più popolari

domenica 26 novembre 2017

Amedeo je t’aime: un’altra prospettiva su Jeanne Hébuterne

La tormentata storia d’amore tra Amedeo Modigliani e la sua musa nonché devota e giovane compagna Jeanne Hébuterne, è una storia talmente romantica, tragica, estrema, maledetta e piena di pathos, che da sempre si presta ad essere soggetto di film e libri, talvolta favorendo la creazione di super drammi strappalacrime e un po’ sdolcinati.
Il libro di Francesca Diotallevi “Amedeo je t’aime” è uno di quei libri che si leggono tutti d’un fiato, tanto ti cali nella storia. Protagonista è la storia d’amore tra Modì e “Noix de Coco”, come veniva chiamata Jeanne nell’ambiente artistico parigino di inizio secolo a causa dell’incarnato latteo in contrasto con la foltissima capigliatura castano ramata. Il racconto è narrato proprio da Jeanne, e la relazione vista attraverso gli occhi di lei. Le dinamiche psicologiche e i tormenti dei personaggi sono talmente ben espressi che il lettore finisce per immedesimarsi in Jeanne, e mentre la storia naufraga verso l’autodistruzione dei protagonisti, vorrebbe aiutare questa giovane timida, intelligente e apparentemente fragile, tenerla per mano, non lasciarla sola. Scritto in maniera magistrale, innesta una storia d’amore, certamente romanzata, in un vivo contesto storico e sociale; la scrittrice infatti rispetta la cronologia e la veridicità degli avvenimenti, così come sono riportati dalle varie biografie. E apre una prospettiva diversa su Jeanne.
Ai giorni nostri, date ormai per scontate le conquiste regalateci dalla battaglia per l’emancipazione femminile, sarebbe molto facile cedere alla tentazione di giudicarla: una giovane fanciulla ingenua che, travolta dalla passione per un uomo carismatico, geniale e maledetto, si annulla completamente per il proprio uomo, gettando alle ortiche i propri talenti e la realizzazione di sé, sopportando infedeltà e forse anche qualche botta, per arrivare a rinunciare addirittura alla propria vita e a quella del bambino che porta in grembo. Perché leggendo le biografie e i pochi aneddoti su di lei, la prima immagine che riceviamo di Jeanne è quella di una donna sottomessa, un satellite che ruota intorno a un Sole e che brilla di luce riflessa. Certo, anche questa versione viene presentata nel romanzo, quando le amiche di lei la spronano a lasciar perdere quel donnaiolo ubriacone, senza una lira e malato, mentre lei ha alle spalle una solida famiglia borghese, ma soprattutto ha dei talenti artistici da esprimere. Ma dal romanzo emerge anche e soprattutto un altro aspetto: Jeanne non è una ragazzina fragile, succube e sottomessa, ma una donna forte che ha il coraggio di lasciare la strada più sicura e già tracciata per lei, di rinunciare all’appoggio della famiglia, pur sapendo che l’avrebbe abbandonata e non avrebbe mai approvato né capito la sua scelta, per seguire il suo sogno. Ha il coraggio di sfidare le convenzioni sociali del proprio ambiente cattolico e borghese che condanna una amante, che per di più ha un figlio fuori dal vincolo matrimoniale, considerandola una donna perduta, un' emarginata che non potrà mai più camminare a testa alta. Una romantica idealista che lascia sicurezza e agi per vivere in povertà in una mansarda umida e fredda accanto al suo uomo malato, fino alla fine, perché lei ha visto prima di tutti gli altri in lui quella scintilla divina, che è il genio artistico, e che il mondo gli riconoscerà soltanto in seguito. Lei che con ostinazione e tenacia sceglie di condividere il suo destino, fino alla fine, fino al gesto estremo, perché “Dicono che la vita sia il bene più prezioso. Ma non è così. Il bene più prezioso è la possibilità di scegliere. La libertà di inseguire il proprio destino”, pensa Jeanne nell’ultima, fredda alba della sua vita.

C’è un passaggio, nell’ultimo capitolo, che condensa mirabilmente l’essenza di Modigliani e di ciò che lui rappresenta per Jeanne: “Così era Amedeo. Un uomo inafferrabile. Un’idea impossibile. Ho amato il suo riflesso, la luce che irradiava, l’ombra che proiettava. Ho amato quel suo modo di essere incostante e generoso, sfacciato e incantevole. Era un uomo con una missione da compiere e un tempo spaventosamente breve tra le mani. Di quel tempo ho avuto briciole luminose, che ho raccolto tra le dita come gocce di pioggia nel palmo di un assetato, senza mai riuscire a placare quella sete disperata. Quella sete insaziabile, che era anche la sua, ma d’infinito e di impossibile”