Inferno
è incapacità di amare, è distruggere e separare. Paradiso è capacità di dare, di
spendersi, di costruire, di accogliere, aprire e collegare. Odiare è più
semplice ed immediato perché regala una sorta di compiacimento a breve termine;
per amare invece occorre essere persone forti, adulte, capaci di perdonare, di
vedere le cose a lungo termine ed in prospettiva, di essere aperti. Questo è
ciò in cui crede Padre Puglisi, sacerdote che più che limitarsi a predicare dal
pulpito, vive il Vangelo con gli ultimi, nelle strade del quartiere degradato
(in cui anche lui è nato) di Brancaccio, a Palermo. Uno che ha riportato l’attenzione
al messaggio vero e originario del Vangelo, senza tanti fronzoli. Padre Puglisi
combatte chiedendo alle istituzioni scuole e strutture per Brancaccio, per dare
alternative, futuro e speranza ai tanti bambini che vivono per strada senza
andare a scuola, che rubano, si prostituiscono o lavorano per Cosa Nostra. Lui
fa un po’ da padre a questi bambini, alle ragazze madri, alle persone in
difficoltà, e continua testardo nella sua opera nonostante le minacce della
Mafia, con tenacia e con il sorriso sempre stampato sul volto, perché è
convinto che libertà non significhi avere mille opzioni e scelte, ma libertà
sia scegliere la verità, anche quando è la strada più scomoda. E firma così la
sua condanna a morte.
La
storia di Padre Puglisi raccontata in “Ciò che inferno non è” da Alessandro D’Avenia,
edito da Mondadori nel 2015, è narrata e vissuta attraverso gli occhi di un
adolescente, Federico, studente del liceo classico e coinvolto da 3P (così è
chiamato Don Pino Puglisi), suo insegnante di religione al liceo, nella sua
opera a Brancaccio. Federico, che vive in una dorata realtà borghese nella
stessa città, Palermo, ma in un quartiere che sembra lontano anni luce da
Brancaccio, decide di rinunciare alla vacanza studio già pagata in Inghilterra,
perché capisce che forse fare un bel bagno nella realtà gli servirà più che non
perfezionare l’inglese. Non senza paura ed alcune remore, affianca il sacerdote,
scoprendo un mondo completamente sconosciuto, e trovando anche il primo vero
amore, in una sorta di percorso di formazione che passa anche per labbra
spaccate ed aggressioni subite.
Il
romanzo ha una prosa un po’ barocca, è molto letterario e a tratti davvero
poetico, ed ha il merito di far emergere in maniera eccelsa la figura di questo
sacerdote, dove Amore è la parola chiave. L’amore che Don Pino ha dato al suo
quartiere e alla sua città sopravvive ben oltre alla sua morte ed arriva intatto
persino al lettore: che sia laico oppure credente, chi si avvicina al romanzo sarà
comunque conquistato dalla gentilezza e dall’ animo generoso di 3P. E si
percepisce anche l’affetto di D’Avenia per Don Pino, che ha conosciuto, e che
probabilmente ha esercitato una certa suggestione sullo scrittore. Si sentiva davvero
il bisogno di un libro che celebri un vero eroe contemporaneo, in epoca d’intolleranze
religiose, terrorismo, discorsi sull’integrazione e in una società in cui soprattutto
il male ed il sangue fanno notizia, e la gente si crogiola morbosamente nelle
peggiori pulsioni dell’essere umano (penso con orrore ai pulmini di turisti
armati di macchine fotografiche accorsi ad Avetrana sul luogo del delitto
Scazzi). Interessante notare come l’eroismo e il coraggio implichino anche
provare paura: quando Don Pino riceve gli avvertimenti di Cosa Nostra e capisce
di essere condannato a morte, ha paura, e come Gesù nell’orto di Getsemani invoca
il Padre perché gli dia forza, in una preghiera commovente ed altamente poetica.
Il
libro commuove, coinvolge ed ha un ampio respiro: profonde e condivisibili le
cinque cose che rimpiangerà ogni uomo in punto di morte, quando padre Puglisi
sta per attraversare la soglia del Viaggio…