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giovedì 7 aprile 2016

“Ciò che inferno non è”: il Vangelo secondo Padre Puglisi



Inferno è incapacità di amare, è distruggere e separare. Paradiso è capacità di dare, di spendersi, di costruire, di accogliere, aprire e collegare. Odiare è più semplice ed immediato perché regala una sorta di compiacimento a breve termine; per amare invece occorre essere persone forti, adulte, capaci di perdonare, di vedere le cose a lungo termine ed in prospettiva, di essere aperti. Questo è ciò in cui crede Padre Puglisi, sacerdote che più che limitarsi a predicare dal pulpito, vive il Vangelo con gli ultimi, nelle strade del quartiere degradato (in cui anche lui è nato) di Brancaccio, a Palermo. Uno che ha riportato l’attenzione al messaggio vero e originario del Vangelo, senza tanti fronzoli. Padre Puglisi combatte chiedendo alle istituzioni scuole e strutture per Brancaccio, per dare alternative, futuro e speranza ai tanti bambini che vivono per strada senza andare a scuola, che rubano, si prostituiscono o lavorano per Cosa Nostra. Lui fa un po’ da padre a questi bambini, alle ragazze madri, alle persone in difficoltà, e continua testardo nella sua opera nonostante le minacce della Mafia, con tenacia e con il sorriso sempre stampato sul volto, perché è convinto che libertà non significhi avere mille opzioni e scelte, ma libertà sia scegliere la verità, anche quando è la strada più scomoda. E firma così la sua condanna a morte.
La storia di Padre Puglisi raccontata in “Ciò che inferno non è” da Alessandro D’Avenia, edito da Mondadori nel 2015, è narrata e vissuta attraverso gli occhi di un adolescente, Federico, studente del liceo classico e coinvolto da 3P (così è chiamato Don Pino Puglisi), suo insegnante di religione al liceo, nella sua opera a Brancaccio. Federico, che vive in una dorata realtà borghese nella stessa città, Palermo, ma in un quartiere che sembra lontano anni luce da Brancaccio, decide di rinunciare alla vacanza studio già pagata in Inghilterra, perché capisce che forse fare un bel bagno nella realtà gli servirà più che non perfezionare l’inglese. Non senza paura ed alcune remore, affianca il sacerdote, scoprendo un mondo completamente sconosciuto, e trovando anche il primo vero amore, in una sorta di percorso di formazione che passa anche per labbra spaccate ed aggressioni subite.
Il romanzo ha una prosa un po’ barocca, è molto letterario e a tratti davvero poetico, ed ha il merito di far emergere in maniera eccelsa la figura di questo sacerdote, dove Amore è la parola chiave. L’amore che Don Pino ha dato al suo quartiere e alla sua città sopravvive ben oltre alla sua morte ed arriva intatto persino al lettore: che sia laico oppure credente, chi si avvicina al romanzo sarà comunque conquistato dalla gentilezza e dall’ animo generoso di 3P. E si percepisce anche l’affetto di D’Avenia per Don Pino, che ha conosciuto, e che probabilmente ha esercitato una certa suggestione sullo scrittore. Si sentiva davvero il bisogno di un libro che celebri un vero eroe contemporaneo, in epoca d’intolleranze religiose, terrorismo, discorsi sull’integrazione e in una società in cui soprattutto il male ed il sangue fanno notizia, e la gente si crogiola morbosamente nelle peggiori pulsioni dell’essere umano (penso con orrore ai pulmini di turisti armati di macchine fotografiche accorsi ad Avetrana sul luogo del delitto Scazzi). Interessante notare come l’eroismo e il coraggio implichino anche provare paura: quando Don Pino riceve gli avvertimenti di Cosa Nostra e capisce di essere condannato a morte, ha paura, e come Gesù nell’orto di Getsemani invoca il Padre perché gli dia forza, in una preghiera commovente ed altamente poetica.
Il libro commuove, coinvolge ed ha un ampio respiro: profonde e condivisibili le cinque cose che rimpiangerà ogni uomo in punto di morte, quando padre Puglisi sta per attraversare la soglia del Viaggio…