L’ultimo
romanzo di Giuseppe Catozzella apre una nuova prospettiva sulla realtà dei
migranti. Che dal nostro punto di vista intraprendono un viaggio infernale “soltanto”
per sfuggire a fame, guerre e pericolo imminente di vita, e forse anche per inseguire
un sogno che però si ridurrebbe, molto pragmaticamente, al benessere economico.
Attraverso questo romanzo, e attraverso la storia vera e rivisitata di Samia
Yusuf Omar, scopriamo invece che dietro a una delle mille diverse storie di chi
fugge dall’Africa per approdare in Europa, si può celare semplicemente un sogno
di realizzazione di sé.
Un
sogno di vita, di carriera, di successo personale. Una normalissima e lecita
ambizione, resa impossibile a priori dal fatto stesso di vivere in un paese
afflitto da dittatura ed integralismo.
Samia
è una ragazzina di Mogadiscio che ha un talento: corre veloce. E sogna di
diventare un’atleta come il suo idolo, Mo Farah, che tiene alta la bandiera
della Somalia nel mondo.
Con
una determinazione inimmaginabile, senza coach ne’ diete bilanciate e correndo
da sola, coperta dal burqa, di notte, nello stadio deserto e crivellato dai
proiettili, per sfuggire alle ronde degli integralisti islamici che prendono
sempre più potere in Somalia, Samia riesce nell’impossibile: si qualifica alle
Olimpiadi di Pechino del 2008, diventando un idolo per molte donne somale che
nel frattempo sperimentano progressivamente la perdita di qualsiasi diritto e
libertà.
Presto
capirà che ha un solo modo per non bruciare il suo talento e realizzare il suo
unico progetto di vita e la sua passione: il Viaggio. Le Olimpiadi di Londra
del 2012 sono il suo obiettivo, ciò che le dà il coraggio e la forza di
affrontare cinque mesi di allucinante odissea attraverso Etiopia, Sudan, Libia
e soprattutto l’inferno del Sahara. Per arrivare finalmente a Tripoli, e alla
traversata del mare. La descrizione del Viaggio che ci restituisce Catozzella,
è fatta di particolari crudi e dettagli inimmaginabili raccolti dai superstiti
e tramite un lavoro di documentazione diretta (lo scrittore ha lungamente
intervistato la sorella di Samia, Hodan, che oggi vive a Helsinki e che per
prima ha affrontato la traversata). Gli esseri umani stipati all’inverosimile
su camionette, che viaggiano per venti ore di fila nel deserto infuocato e non
vengono più fatti risalire in caso di caduta accidentale, mentre il convoglio
prosegue, la follia e le allucinazioni nel deserto, quando il mezzo di trasporto
si rompe e l’acqua scarseggia. Le tratte interminabili di viaggio ammassati dentro
container arroventati, dove escrementi, vomito, lacrime e preghiere di esseri
umani umiliati e privati di dignità si confondono. E ancora, i garage- prigione
dove si attendono anche per mesi i soldi inviati dai parenti per proseguire
nella tappa successiva, perché ad ogni tappa i trafficanti di vite umane
ricattano ed esigono nuove somme, pena bastonate, stupro, o minaccia di
rimandare al punto di partenza i profughi. Poi l’arrivo a Tripoli, la
solidarietà tra quaranta africane clandestine provenienti da diversi paesi che
dividono un bilocale in periferia, scambiandosi ricette, ricordi e sogni per il
futuro mentre aspettano di essere chiamate per la traversata. E soprattutto l’ansia
di arrivare alla meta: nessuno si sofferma a pensare a quello che potrebbe
succedere durante il viaggio in mare, sia perché chi ha attraversato il deserto
si sente invincibile, sia perché la paura è un lusso concesso a chi è felice, e
ha paura di perdere quello che ha.
Catozzella
reinventa un finale più lieve e vittorioso per Samia, per risarcire in qualche
modo il sogno rubato della Samia reale, e dà una voce e una speranza a migliaia
di vite coraggiose.