La tormentata storia d’amore tra Amedeo
Modigliani e la sua musa nonché devota e giovane compagna Jeanne Hébuterne, è una
storia talmente romantica, tragica, estrema, maledetta e piena di pathos, che
da sempre si presta ad essere soggetto di film e libri, talvolta favorendo la
creazione di super drammi strappalacrime e un po’ sdolcinati.
Il libro di Francesca Diotallevi “Amedeo je
t’aime” è uno di quei libri che si leggono tutti d’un fiato, tanto ti cali
nella storia. Protagonista è la storia d’amore tra Modì e “Noix de Coco”, come
veniva chiamata Jeanne nell’ambiente artistico parigino di inizio secolo a
causa dell’incarnato latteo in contrasto con la foltissima capigliatura castano
ramata. Il racconto è narrato proprio da Jeanne, e la relazione vista attraverso
gli occhi di lei. Le dinamiche psicologiche e i tormenti dei personaggi sono
talmente ben espressi che il lettore finisce per immedesimarsi in Jeanne, e
mentre la storia naufraga verso l’autodistruzione dei protagonisti, vorrebbe
aiutare questa giovane timida, intelligente e apparentemente fragile, tenerla
per mano, non lasciarla sola. Scritto in maniera magistrale, innesta una storia
d’amore, certamente romanzata, in un vivo contesto storico e sociale; la
scrittrice infatti rispetta la cronologia e la veridicità degli avvenimenti,
così come sono riportati dalle varie biografie. E apre una prospettiva diversa
su Jeanne.
Ai giorni nostri, date ormai per scontate le
conquiste regalateci dalla battaglia per l’emancipazione femminile, sarebbe
molto facile cedere alla tentazione di giudicarla: una giovane fanciulla
ingenua che, travolta dalla passione per un uomo carismatico, geniale e
maledetto, si annulla completamente per il proprio uomo, gettando alle ortiche
i propri talenti e la realizzazione di sé, sopportando infedeltà e forse anche
qualche botta, per arrivare a rinunciare addirittura alla propria vita e a
quella del bambino che porta in grembo. Perché leggendo le biografie e i pochi
aneddoti su di lei, la prima immagine che riceviamo di Jeanne è quella di una
donna sottomessa, un satellite che ruota intorno a un Sole e che brilla di luce
riflessa. Certo, anche questa versione viene presentata nel romanzo, quando le
amiche di lei la spronano a lasciar perdere quel donnaiolo ubriacone, senza una
lira e malato, mentre lei ha alle spalle una solida famiglia borghese, ma
soprattutto ha dei talenti artistici da esprimere. Ma dal romanzo emerge anche
e soprattutto un altro aspetto: Jeanne non è una ragazzina fragile, succube e
sottomessa, ma una donna forte che ha il coraggio di lasciare la strada più
sicura e già tracciata per lei, di rinunciare all’appoggio della famiglia, pur sapendo
che l’avrebbe abbandonata e non avrebbe mai approvato né capito la sua scelta,
per seguire il suo sogno. Ha il coraggio di sfidare le convenzioni sociali del
proprio ambiente cattolico e borghese che condanna una amante, che per di più ha
un figlio fuori dal vincolo matrimoniale, considerandola una donna perduta, un' emarginata che non potrà mai più camminare a testa alta. Una romantica
idealista che lascia sicurezza e agi per vivere in povertà in una mansarda
umida e fredda accanto al suo uomo malato, fino alla fine, perché lei ha visto prima
di tutti gli altri in lui quella scintilla divina, che è il genio artistico, e
che il mondo gli riconoscerà soltanto in seguito. Lei che con ostinazione e
tenacia sceglie di condividere il suo destino, fino alla fine, fino al gesto
estremo, perché “Dicono che la vita sia il bene più prezioso. Ma non è così. Il
bene più prezioso è la possibilità di scegliere. La libertà di inseguire il
proprio destino”, pensa Jeanne nell’ultima, fredda alba della sua vita.
C’è un passaggio, nell’ultimo capitolo, che
condensa mirabilmente l’essenza di Modigliani e di ciò che lui rappresenta per
Jeanne: “Così era Amedeo. Un uomo inafferrabile. Un’idea impossibile. Ho amato
il suo riflesso, la luce che irradiava, l’ombra che proiettava. Ho amato quel
suo modo di essere incostante e generoso, sfacciato e incantevole. Era un uomo
con una missione da compiere e un tempo spaventosamente breve tra le mani. Di
quel tempo ho avuto briciole luminose, che ho raccolto tra le dita come gocce
di pioggia nel palmo di un assetato, senza mai riuscire a placare quella sete
disperata. Quella sete insaziabile, che era anche la sua, ma d’infinito e di
impossibile”