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La
critica potrebbe trovare alcuni punti deboli in questo romanzo pubblicato per
la prima volta in Italia da Marsilio nel 2012: una serie di cliché, primo fra tutti il tema da cui
si dipana la trama ovvero l’europeo rapito e tenuto in ostaggio, tristemente di
moda in tempi recenti; secondariamente l’idea dell’occidentale benestante dalla
vita apparentemente perfetta ma in crisi esistenziale che parte alla volta del
paese esotico e povero per riscoprire il senso della propria esistenza. Infine
l’happy-end un po’ zuccheroso del
romanzo. Ma soprattutto, la critica potrebbe contestare la poca verosimiglianza
di alcune situazioni: certi dialoghi tra rapitori ed ostaggi, dove si
filosofeggia di massimi sistemi e dove i rapitori disquisiscono su Africa ed
Occidente infarcendo il dialogo di citazioni letterarie, suonano davvero poco
realistici, soprattutto considerando le circostanze di disagio fisico e terrore
in cui versano i protagonisti; sembrano piuttosto un pretesto perché l’autore
possa esprimere tutti i suoi ragionamenti su culture e civiltà. Detto questo,
il vero punto di forza del romanzo è la passione per l’Africa che Yasmina
Khadra, pseudonimo dello scrittore algerino Mohammed Moulessehoul, riesce a
trasporre nelle pagine del libro. L’autore infatti coglie con estrema
profondità ciò che davvero affascina l’uomo europeo nell’incontro con questo
continente pieno di contraddizioni. E non parliamo dei turisti che partono alla
volta dell’Africa cercando solo l’aspetto esotico del safari; ma di antropologi
e volontari che scelgono di vivere in Africa in mezzo alla gente e si
innamorano di questo paese. Attraverso le pagine del libro scopriamo cosa davvero
colpisca queste persone: la capacità di resistere e rinascere degli africani.
Anche in condizioni di estrema miseria e disagio fisico, non si scoraggiano mai
e lottano per sopravvivere, amando la vita fino all’ultimo respiro. Durante lo
svolgimento del romanzo, a un certo punto i profughi del Darfur sono riuniti
nel campo di accoglienza della Croce Rossa, e nonostante le loro precarie
condizioni fisiche e quello che hanno appena passato, hanno voglia di scherzare
e ridere delle loro miserie, dei loro fallimenti: la gioia è un aspetto
fondamentale della loro cultura. Quello che colpisce enormemente il
protagonista è che, mentre nella sua Francoforte c’è chi si suicida per una
mancata promozione sul lavoro, perché si prende enormemente sul serio, in
Africa vede gente che “aveva solo pelle
sulle ossa, niente da mangiare, niente in cui sperare e che nonostante tutto si
batteva per ogni secondo della propria vita. Persone perseguitate, derubate,
ridotte al rango di bestie da soma, cacciati dai loro sordidi villaggi e
costrette a errare in mezzo ai predoni e alle malattie non rinunciavano nemmeno
a una briciola della loro misera esistenza.”
La
saggezza ed il distacco africano sono efficacemente descritti attraverso il
personaggio del francese Bruno, innamorato dell’Africa nonostante tutto, che qui
trova affascinante “La voglia di vivere:
gli africani sanno che la vita è il loro bene più prezioso. Il dolore, le
gioie, le malattie, sono solo insegnamenti. Gli africani prendono le cose come
vengono, senza troppe aspettative. E pur credendo fermamente nei miracoli, non
ne esigono. Bastano a loro stessi. Che siano seduti davanti casa, sotto un
carrubo o sulla sponda di un fiume infestato da coccodrilli, prima di tutto
sono dentro loro stessi. Il loro cuore è il loro regno. Nessuno al mondo sa
condividere e perdonare come loro”.
Queste
parole contribuiscono a dare un’immagine ancora più contraddittoria di un paese
che nel libro viene descritto come un luogo dove violenza, follia, ingiustizia
e barbarie sono all’ordine del giorno, dove i protagonisti vagando nel deserto
incontrano piccoli villaggi saccheggiati da gruppi di ribelli locali che, dopo
aver derubato gente misera ed indifesa massacrano senza batter ciglio l’intero
villaggio, donne e bambini inclusi, gettati poi ad imputridire in fosse comuni,
prede degli avvoltoi. Un paese dove governi corrotti e violenza sono la
normalità e “gli dei non hanno più pelle
sulle dita, a furia di lavarsene le mani”.
Non
a caso L’ultima parola nel romanzo è lasciata al bandito-poeta Joma e ad i suoi
versi intrisi di fatalismo, perché l’unico modo per poter amare l’Africa è
sospendere il giudizio ed accettare una realtà apparentemente incomprensibile.