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martedì 7 ottobre 2014

L’equazione africana. Ovvero, i due volti dell’Africa.

Un medico tedesco in navigazione con un amico verso le isole Comore, Kurt Krausmann, viene attaccato dai pirati al largo della Somalia. Preso in ostaggio, trascinato dai rapitori in un viaggio avventuroso ed infernale attraverso il deserto africano, durante il quale scopre un paese fatto di violenza e miseria, subisce torture ed umiliazioni, conosce infine un altro ostaggio, il francese Bruno, insieme al quale riesce a liberarsi dai rapitori e lentamente prende coscienza anche di altri aspetti dell’Africa, al punto che, al termine dell’esperienza, si sentirà cambiato irreversibilmente e nel profondo.
La critica potrebbe trovare alcuni punti deboli in questo romanzo pubblicato per la prima volta in Italia da Marsilio nel 2012: una serie di cliché, primo fra tutti il tema da cui si dipana la trama ovvero l’europeo rapito e tenuto in ostaggio, tristemente di moda in tempi recenti; secondariamente l’idea dell’occidentale benestante dalla vita apparentemente perfetta ma in crisi esistenziale che parte alla volta del paese esotico e povero per riscoprire il senso della propria esistenza. Infine l’happy-end un po’ zuccheroso del romanzo. Ma soprattutto, la critica potrebbe contestare la poca verosimiglianza di alcune situazioni: certi dialoghi tra rapitori ed ostaggi, dove si filosofeggia di massimi sistemi e dove i rapitori disquisiscono su Africa ed Occidente infarcendo il dialogo di citazioni letterarie, suonano davvero poco realistici, soprattutto considerando le circostanze di disagio fisico e terrore in cui versano i protagonisti; sembrano piuttosto un pretesto perché l’autore possa esprimere tutti i suoi ragionamenti su culture e civiltà. Detto questo, il vero punto di forza del romanzo è la passione per l’Africa che Yasmina Khadra, pseudonimo dello scrittore algerino Mohammed Moulessehoul, riesce a trasporre nelle pagine del libro. L’autore infatti coglie con estrema profondità ciò che davvero affascina l’uomo europeo nell’incontro con questo continente pieno di contraddizioni. E non parliamo dei turisti che partono alla volta dell’Africa cercando solo l’aspetto esotico del safari; ma di antropologi e volontari che scelgono di vivere in Africa in mezzo alla gente e si innamorano di questo paese. Attraverso le pagine del libro scopriamo cosa davvero colpisca queste persone: la capacità di resistere e rinascere degli africani. Anche in condizioni di estrema miseria e disagio fisico, non si scoraggiano mai e lottano per sopravvivere, amando la vita fino all’ultimo respiro. Durante lo svolgimento del romanzo, a un certo punto i profughi del Darfur sono riuniti nel campo di accoglienza della Croce Rossa, e nonostante le loro precarie condizioni fisiche e quello che hanno appena passato, hanno voglia di scherzare e ridere delle loro miserie, dei loro fallimenti: la gioia è un aspetto fondamentale della loro cultura. Quello che colpisce enormemente il protagonista è che, mentre nella sua Francoforte c’è chi si suicida per una mancata promozione sul lavoro, perché si prende enormemente sul serio, in Africa vede gente che “aveva solo pelle sulle ossa, niente da mangiare, niente in cui sperare e che nonostante tutto si batteva per ogni secondo della propria vita. Persone perseguitate, derubate, ridotte al rango di bestie da soma, cacciati dai loro sordidi villaggi e costrette a errare in mezzo ai predoni e alle malattie non rinunciavano nemmeno a una briciola della loro misera esistenza.”
La saggezza ed il distacco africano sono efficacemente descritti attraverso il personaggio del francese Bruno, innamorato dell’Africa nonostante tutto, che qui trova affascinante “La voglia di vivere: gli africani sanno che la vita è il loro bene più prezioso. Il dolore, le gioie, le malattie, sono solo insegnamenti. Gli africani prendono le cose come vengono, senza troppe aspettative. E pur credendo fermamente nei miracoli, non ne esigono. Bastano a loro stessi. Che siano seduti davanti casa, sotto un carrubo o sulla sponda di un fiume infestato da coccodrilli, prima di tutto sono dentro loro stessi. Il loro cuore è il loro regno. Nessuno al mondo sa condividere e perdonare come loro”.
Queste parole contribuiscono a dare un’immagine ancora più contraddittoria di un paese che nel libro viene descritto come un luogo dove violenza, follia, ingiustizia e barbarie sono all’ordine del giorno, dove i protagonisti vagando nel deserto incontrano piccoli villaggi saccheggiati da gruppi di ribelli locali che, dopo aver derubato gente misera ed indifesa massacrano senza batter ciglio l’intero villaggio, donne e bambini inclusi, gettati poi ad imputridire in fosse comuni, prede degli avvoltoi. Un paese dove governi corrotti e violenza sono la normalità e “gli dei non hanno più pelle sulle dita, a furia di lavarsene le mani”.


Non a caso L’ultima parola nel romanzo è lasciata al bandito-poeta Joma e ad i suoi versi intrisi di fatalismo, perché l’unico modo per poter amare l’Africa è sospendere il giudizio ed accettare una realtà apparentemente incomprensibile.