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foto da web |
L’America,
ed in particolare New York, come terra promessa, ombelico del mondo dove chi si
ferma è perduto ma chi sa vivere in velocità ed anche in superficie, pronto ad
intercettare e precorrere le mode riesce a cogliere la sua occasione. Questa l’America
descritta da Antonio Monda in “L’America non esiste”, vista attraverso gli
occhi di due ragazzi appena ventenni, Nicola e Maria, fratello e sorella
emigrati dall’Italia meridionale per incontrare un nuovo destino a New York.
Due personalità opposte e due modi opposti di vivere l’esperienza americana:
arrivati a Brooklyn, l’ambizioso Nicola riparte quasi subito alla volta della
frenetica Manhattan perché capisce che è quello il cuore delle occasioni e il
luogo dove tutto si crea e si decide. Nicola è sospinto da una rabbia febbrile che
incanalata nella giusta maniera lo porterà al successo, iniziando come agente
di incontri di box fino ad arrivare al patinato mondo delle gallerie d’arte.
Attraverso i suoi occhi scopriamo una società liquida per eccellenza (per
citare Zygmunt Bauman), dove la scalata al successo impone di non mettere
radici, cambiare il proprio nome, essere sempre pronti a cambiare lavoro,
relazioni, amicizie per inseguire il
nuovo e per precedere la direzione in cui soffierà il vento. L’essenziale è non
essere ancorati ad una identità che ci appesantisce e ci trascina verso il
fondo, ma decidere di cambiarla a seconda di quello che richiede il mercato. In
questo senso l’America non esiste, per questa mancanza di identità e di radici.
Ma è proprio questo il suo fascino, e se c’è una cosa che il lettore percepisce
leggendo questo romanzo scorrevole e ben scritto, è una dichiarazione d’amore
del suo autore Antonio Monda per New York – qui viene descritta la New York
degli anni Cinquanta, euforica nel suo risveglio artistico e culturale del
dopoguerra, dove vengono citati molti personaggi famosi, dal pugile Rocky
Marciano al regista Elia Kazan, alle dive di Hollywood Liz Taylor e Marilyn
Monroe-.
C’è
poi un’altra America, quella vissuta da Maria, la sorella di Nicola, che rimane
a Brooklyn nell’appartamento inizialmente messo a disposizione da uno zio.
Maria vive l’America degli emarginati e degli sconfitti; è l’esatto opposto di Nicola, non pensa di
essere padrona del proprio destino ma si affida costantemente a Dio e agli
altri –dove Nicola conta unicamente sulle proprie forze e sul proprio talento-;
non giudica, è piena di fiducia e di amore e vede il bello in qualsiasi situazione.
Non vuole conquistare la realtà ma si lascia trasportare dalla corrente. Irrita
Nicola per questa sua semplicità e mancanza assoluta di ambizioni, e per lei l’America
è solo un sogno inconsistente, perché neppure le interessa andare a caccia
delle opportunità che potrebbe offrirle.
Molti
romanzi sono stati scritti sugli emigrati italiani in America, perché questo
continente ha sempre esercitato e sempre eserciterà un’ enorme suggestione su
europei ed italiani (quanti di noi hanno uno zio o un parente emigrato in
America!). E questo libro me ne riporta alla mente un altro, molto diverso per spessore
e per ricerca storica su cui è basato, forse meno scorrevole, ma intenso,
profondo e toccante. Parlo di “Vita” di
Melania Mazzucco (che vinse nel 2003 il premio Strega per questo romanzo) dove
due bambini, Vita e Diamante, partono alla volta di New York da Tufo di
Minturno. Siamo nel 1902 e la scrittrice descrive in maniera minuziosa e
documentata le condizioni di vita degli emigrati italiani a inizio secolo nel
ghetto italiano: appartamenti affollati e maleodoranti, lavoro minorile e bambini
che non vengono mandati a scuola;le bambine che cuciono fiori di stoffa chiuse
tutto il giorno in soffocanti appartamenti per pochi dollari; i bambini che
fanno gli strilloni agli angoli delle strade, o vengono ingaggiati come
truccatori di salme per le agenzie di
pompe funebri o ancora lavorano come water-boy (trasportano secchi d’acqua tutto il
giorno nei selvaggi cantieri in cui gli emigrati stanno disboscando per poi
costruire le prime tratte ferroviarie). Oppure finiscono preda della Mano Nera,
la prima mafia italiana newyorkese. In una città dove compaiono insegne fuori
dai locali che recitano: “Vietato l’ingresso ai cani,ai negri e agli italiani.”
Anche qui, destini opposti: Vita troverà la sua America, Diamante tornerà in
Italia con la cocente delusione di non aver trovato la sua terra promessa, per
lui l’America è stata solo un’illusione. Perché l’America è un’idea, un modo di
interpretare la realtà: ad ognuno il proprio.