In un contesto di attualità in cui le storie
di baby escorts affollano tristemente
le pagine dei quotidiani, lasciando gli adulti interdetti ed aprendo l’interminabile
dibattito di psicologi e sociologi, è particolarmente interessante, e da certi
punti di vista inquietante, vedere “Giovane e bella” diretto da François Ozon
nel 2013.
Il film è tutto incentrato sulla protagonista
Isabelle, una bellissima diciassettenne circondata da una famiglia composta da
fratellino minore, madre e patrigno. La ragazza, dopo la prima deludente
esperienza sessuale consumata in villeggiatura con un coetaneo un po’ scialbo
che non è riuscito a farle battere il cuore, rientra a Parigi con la famiglia
dopo le vacanze e qui, senza motivi plausibili apparenti, e complice l’utilizzo
di Internet, cellulari e siti specializzati, inizia a prostituirsi con uomini
molto più grandi, guadagnando denaro che apparentemente non utilizza ma si
limita ad accumulare. Un imprevisto tragico la costringe a fermarsi, a riflettere
su quello che sta facendo e fa si che la famiglia scopra la sua doppia vita.
Dopo il trauma iniziale la madre decide di farla aiutare da uno psicologo, tra
scenate e tentativi di complicità nella speranza di conquistare la sua fiducia
e di capire una volta per tutte l’ imperscrutabile e fredda figlia adolescente,
indifferente alle feste ed al mondo dei suoi coetanei. Per tutto il film lo
spettatore tenterà di capire perché Isabelle abbia deciso di diventare una baby-escort, senza riuscirci mai
veramente. Non ci sono motivazioni economiche: Isabelle vive in una famiglia
benestante che non le nega alcun oggetto, lusso o divertimento. Ci sono una
serie di spunti offerti durante lo svolgimento del film: primo su tutti, l’elemento
del gioco. Isabelle è spinta soprattutto dalla voglia di giocare, di
trasgredire, per vivere l’ebbrezza di superare i limiti del consentito. Al
proposito, viene citato il poema di Rimbaud “Nessuno è serio a 17 anni”
–Isabelle ed i suoi compagni di classe lo recitano e lo studiano durante le
lezioni-. Un’altra parola chiave è: potere. Ovvero il gusto che l’adolescente
prova nel constatare il proprio potere nei confronti dell’adulto: attraverso il
sesso e la bellezza, Isabelle decide le regole del gioco e può addirittura
farsi pagare dagli adulti, quasi quanto vuole. C’è anche un discorso di autostima:
Isabelle è bellissima, eppure sente il bisogno di ricevere costanti conferme
della propria bellezza; quale migliore conferma che un adulto disposto a pagarla
per appropriarsi di quella bellezza? Il film implicitamente suggerisce forse che
la ragazza cerchi il padre assente negli uomini molto più grandi a cui si
concede (padre che ha lasciato la famiglia e si è ricostruito un nucleo
familiare in un altro paese).
In sottofondo trapela poi il riferimento al
fatto che viviamo in una società dove tutto si compra: i genitori, che non
dedicano tempo ai figli non si dimenticano però dei compleanni che vengono
retribuiti generosamente con un buon gruzzolo di denaro; offrono continuamente
vacanze, teatro e distrazioni ai ragazzi, eccetto la concessione del proprio
tempo. All’interno della stessa logica vengono menzionate dal fratellino di
Isabelle le compagne di classe che vendono ai coetanei le prime prestazioni
sessuali per 5 euro o per una ricarica del telefonino. In generale gli adulti
che compaiono nel film sembrano tutti piuttosto facili da corrompere e da comprare-
incluso il patrigno di Isabelle quasi sedotto, ad un certo punto, dalle
provocazioni della ragazza. E gli adolescenti emergono soli e fragili. Alla
fine, in ogni caso, lo sguardo del regista sulla vicenda è impotente, come pure
impotente è lo spettatore: l’adolescenza resta un insondabile mistero.