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giovedì 8 maggio 2014

“Giovane e bella”: sesso, adolescenza e baby-escorts

In un contesto di attualità in cui le storie di baby escorts affollano tristemente le pagine dei quotidiani, lasciando gli adulti interdetti ed aprendo l’interminabile dibattito di psicologi e sociologi, è particolarmente interessante, e da certi punti di vista inquietante, vedere “Giovane e bella” diretto da François Ozon nel 2013.
Il film è tutto incentrato sulla protagonista Isabelle, una bellissima diciassettenne circondata da una famiglia composta da fratellino minore, madre e patrigno. La ragazza, dopo la prima deludente esperienza sessuale consumata in villeggiatura con un coetaneo un po’ scialbo che non è riuscito a farle battere il cuore, rientra a Parigi con la famiglia dopo le vacanze e qui, senza motivi plausibili apparenti, e complice l’utilizzo di Internet, cellulari e siti specializzati, inizia a prostituirsi con uomini molto più grandi, guadagnando denaro che apparentemente non utilizza ma si limita ad accumulare. Un imprevisto tragico la costringe a fermarsi, a riflettere su quello che sta facendo e fa si che la famiglia scopra la sua doppia vita. Dopo il trauma iniziale la madre decide di farla aiutare da uno psicologo, tra scenate e tentativi di complicità nella speranza di conquistare la sua fiducia e di capire una volta per tutte l’ imperscrutabile e fredda figlia adolescente, indifferente alle feste ed al mondo dei suoi coetanei. Per tutto il film lo spettatore tenterà di capire perché Isabelle abbia deciso di diventare una baby-escort, senza riuscirci mai veramente. Non ci sono motivazioni economiche: Isabelle vive in una famiglia benestante che non le nega alcun oggetto, lusso o divertimento. Ci sono una serie di spunti offerti durante lo svolgimento del film: primo su tutti, l’elemento del gioco. Isabelle è spinta soprattutto dalla voglia di giocare, di trasgredire, per vivere l’ebbrezza di superare i limiti del consentito. Al proposito, viene citato il poema di Rimbaud “Nessuno è serio a 17 anni” –Isabelle ed i suoi compagni di classe lo recitano e lo studiano durante le lezioni-. Un’altra parola chiave è: potere. Ovvero il gusto che l’adolescente prova nel constatare il proprio potere nei confronti dell’adulto: attraverso il sesso e la bellezza, Isabelle decide le regole del gioco e può addirittura farsi pagare dagli adulti, quasi quanto vuole. C’è anche un discorso di autostima: Isabelle è bellissima, eppure sente il bisogno di ricevere costanti conferme della propria bellezza; quale migliore conferma che un adulto disposto a pagarla per appropriarsi di quella bellezza? Il film implicitamente suggerisce forse che la ragazza cerchi il padre assente negli uomini molto più grandi a cui si concede (padre che ha lasciato la famiglia e si è ricostruito un nucleo familiare in un altro paese).

In sottofondo trapela poi il riferimento al fatto che viviamo in una società dove tutto si compra: i genitori, che non dedicano tempo ai figli non si dimenticano però dei compleanni che vengono retribuiti generosamente con un buon gruzzolo di denaro; offrono continuamente vacanze, teatro e distrazioni ai ragazzi, eccetto la concessione del proprio tempo. All’interno della stessa logica vengono menzionate dal fratellino di Isabelle le compagne di classe che vendono ai coetanei le prime prestazioni sessuali per 5 euro o per una ricarica del telefonino. In generale gli adulti che compaiono nel film sembrano tutti piuttosto facili da corrompere e da comprare- incluso il patrigno di Isabelle quasi sedotto, ad un certo punto, dalle provocazioni della ragazza. E gli adolescenti emergono soli e fragili. Alla fine, in ogni caso, lo sguardo del regista sulla vicenda è impotente, come pure impotente è lo spettatore: l’adolescenza resta un insondabile mistero.