Leggere questo libro, da un certo punto di
vista, è un sollievo: fa sentire le donne meno sole con il problema. Perché
ammettiamolo: a tante di noi è capitato, durante il proprio percorso
lavorativo, di fare un colloquio in cui ci veniva chiesto se avevamo intenzione
di sfornare un pargolo (non con queste esatte parole, sia chiaro). Per non
parlare della ricerca di un nuovo lavoro se si è neo-mamme: la fatidica domanda
se si hanno figli piccoli spunterà, magari sussurrata come se fosse del tutto
casuale, ed a quel punto, a risposta affermativa, il sorriso del vostro intervistatore si sgretolerà
come per magia. Questa mentalità arretrata e discriminatoria nei confronti
delle madri lavoratrici è l’argomento principale del libro-inchiesta di Chiara
Valentini, edito da Feltrinelli nel 2012. Dal quale emerge una realtà
squallida, dove tutte le categorie di donne lavoratrici, dalle operaie alle
commesse, fino alle manager in carriera, sono ugualmente colpite da questa
discriminazione, basata soprattutto su mobbing e demansionamento al rientro
dalla maternità per chi ha un contratto a tempo indeterminato, assunzioni
corredate da dimissioni in bianco, atteggiamenti ostili di ogni tipo verso le
donne che intraprendono il percorso della maternità. In una parola: svela una
mentalità ottusa che è incapace di vedere in una madre un soggetto lavorativo che continua ad avere
le stesse competenze e qualifiche che aveva prima della gravidanza. Questo,
sommato alla carenza di strutture ed asili nido ed un sistema ancora tutto
imperniato sull’aiuto dei nonni, rende veramente difficile per una donna il
reinserimento lavorativo dopo la maternità. Lo scorso 1 marzo Laura Preite
scriveva un articolo dal titolo allarmante su La Stampa : “Mamme fuori dal mercato del lavoro: una su quattro lo perde entro due anni”.
E dire che la legge di maternità italiana è
molto più favorevole di quella presente in altri paesi Europei: abbiamo un
congedo di maternità lungo, se paragonato ad altri Stati, quindi da questo
punto di vista non ci possiamo lamentare. E’ il reinserimento e tutto il
contesto che sono da rivedere e migliorare. E’ interessante fare un paragone
con un paese emancipato e virtuoso come la Francia, giusto per proporre dei
modelli che siano positivi e costruttivi, e non negativi.
In Francia alla nascita di un figlio lo stato
offre un bonus alla famiglia che va dagli 800 ai 1000 eur a seconda del
reddito, e questo è solo l’inizio. La madre o il padre possono avere un congedo
che va addirittura fino ad un massimo di 3 anni senza perdere il posto di
lavoro. Lo Stato offre inoltre un contributo economico per la baby sitter, la
cui cifra varia in funzione del reddito familiare. Ma soprattutto, l’asilo nido
pubblico è veramente pubblico quindi gratuito, perché basato sul concetto che
le tasse dei cittadini debbano coprire questo genere di servizi, mentre in Italia
il nido pubblico costa circa un centinaio di eur in meno del privato, quindi
mediamente per una frequenza part-time sui 400 eur al mese, una cosa illogica e
contraddittoria. E durante la gravidanza in Francia a partire dal terzo mese lo
stato paga tutto: visite, cure, analisi, ecografie.
Deduciamo che quindi proprio la Francia possa
fregiarsi del titolo di “Paese per mamme”, certo non l’Italia dove il cammino
di miglioramento da intraprendere è ancora lungo.