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“Avevano spento anche
la luna”, romanzo d’esordio di Ruta Sepetys pubblicato in Italia da Garzanti
nel 2011 non è un libro che si dimentica facilmente. Suona strano definirlo
romanzo, vista la crudezza dei fatti narrati e soprattutto il loro essere
ispirati a vicende realmente accadute: Ruta Sepetys, scrittrice americana figlia
di rifugiati lituani, per scrivere questo libro si è ispirata non solo alle
vicende raccontate dal nonno, ma ha visitato i gulag sovietici in Siberia ed ha
intervistato gli anziani sopravvissuti ai campi di lavoro di Stalin.
Su questo sfondo storico la Sepetys intesse
la vicenda della protagonista, Lina, quindicenne lituana figlia di un rettore
universitario che nel 1941 viene strappata insieme alla mamma e al fratellino
alla propria casa per essere deportata, insieme a molti altri, nei campi di
lavoro dell’Altaj in Siberia.
Già il fatto che la voce narrante sia quella
di una ragazzina, una giovane promettente artista che testimonia con tenacia attraverso
i propri disegni l’orrore che sta vivendo, dona se possibile leggerezza alla
storia, che è narrata in modo estremamente scorrevole ed avvincente, nonostante
la cupezza delle ambientazioni e delle scene. Agghiacciante la cattura all’ospedale
della donna che ha appena partorito, ancora in camicia da notte, costretta a
salire sul treno che riporta la scritta “Ladri e prostitute” insieme a Lina ed
agli altri deportati. La stessa donna nel corso del viaggio sarà costretta a
gettare giù dal treno in corsa il cadaverino del proprio bimbo, morto di stenti.
Lina riuscirà a sopravvivere alle atrocità
dei campi di lavoro siberiani e persino a quelle dei campi di Trofimovsk sulle
sponde del Mar Glaciale Artico grazie all’ enorme forza e dignità che la madre,
Elena, cerca di trasmettere ai figli anche nei momenti più bui. Questa l’originalità
del libro: riesce ad essere un inno alla vita, forse in certi modi paragonabile
ad un film dello stampo di “La vita è Bella” di Roberto Benigni. Soprattutto
attraverso il personaggio meravigliosamente delineato della madre di Lina, Elena,
persona capace di insegnare ai figli a festeggiare il Natale persino in un
campo di prigionia e ad amare il nemico senza giudicarlo, non piegando però mai
la testa e senza rinunciare per nessun motivo alla propria dignità. Quando la
polizia sovietica, durante la prigionia, offre ad Elena l’occasione di ricevere
cibo ed un trattamento di favore per collaborare con loro come traduttrice, lei
categoricamente rifiuta, anche se questo significa affamare i propri stessi
figli. Ed è attraverso l’esempio della forza, speranza e tenacia della madre
che Lina ed il fratellino sopravviveranno all’inferno.